In data 31 dicembre 2024 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Serie Generale n. 305, Suppl. Ord. n. 45/L, il d.lgs. 31 dicembre 2024, n. 209, recante “Disposizioni integrative e correttive al codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36” (c.d. “Correttivo”).
Il Correttivo è entrato in vigore in pari data in virtù della disposizione contenuta nell’art. 97.
L’art. 29 inserisce nel testo del d.lgs. n. 36/2023, dopo l’art. 82, il nuovo art. 82-bis, rubricato “Accordo di collaborazione”.
La disposizione – collocata nel Libro II (“Dell’appalto”), Parte V (“Delle procedure”), Titolo I (“Gli atti preparatori”) – dà copertura normativa a uno strumento innovativo, il cui impiego rappresenta già una best practice in diversi Paesi, ivi inclusa l’Italia, tant’è che, come precisato nella Relazione illustrativa di accompagnamento allo schema di decreto legislativo sottoposto all’esame parlamentare, “nella prassi molte stazioni appaltanti [vi] hanno già fatto ricorso in via negoziale ai fini dell’esecuzione di opere complesse, con esiti positivi in termini di prevenzione dei rischi e risoluzione dei conflitti.” (p. 12, sub § 3.8 “Fase esecutiva del contratto di appalto”).
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L’art. 82-bis stabilisce, al comma 1, che le stazioni appaltanti possono inserire nei documenti di gara lo schema di un accordo di collaborazione plurilaterale con il quale le parti coinvolte in misura significativa nella fase di esecuzione di un contratto di lavori, servizi o forniture disciplinano le forme, le modalità e gli obiettivi della reciproca collaborazione, al fine di perseguire il principio del risultato di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 36/2023, ossia – ai fini che qui rilevano – l’esecuzione del contratto con la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.
Si tratta, dunque, di uno strumento facoltativo, il cui utilizzo è rimesso all’iniziativa e all’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, che – come chiarito al citato comma 1, ultimo periodo – non sostituisce né il contratto d’appalto, né gli altri contratti al medesimo collegati e non ne integra i contenuti.
Ciò significa, all’atto pratico, che:
- l’accordo di collaborazione non deroga, in alcun modo, alle disposizioni contenute nel Codice dei contratti pubblici, che, al contrario, si intendono integralmente richiamate;
- la partecipazione all’accordo di collaborazione da parte dei soggetti pubblici non limita in alcun modo l’esercizio dei poteri pubblicistici di cui questi sono titolari, né interviene sulle competenze ad essi attribuite per legge, né può incidere nel ridurre o modificare l’applicazione della normativa, nazionale e sovranazionale, a cui gli stessi sono assoggettati in ragione della loro qualifica;
- in nessun caso, l’applicazione dell’accordo di collaborazione può portare all’adozione di atti, ad omissioni e/o all’assunzione di impegni contrari alle previsioni contenute nei documenti di gara di cui all’art. 82 del d.lgs. n. 36/2023.
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Lo schema di accordo di collaborazione è redatto coerentemente con quanto indicato nell’All. II-6.bis (introdotto dall’art. 89) e definisce, in considerazione dell’oggetto del contratto, gli obiettivi principali e collaterali della collaborazione, indicando altresì le eventuali premialità previste per la realizzazione dei medesimi.
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A livello definitorio, gli accordi di collaborazione si sostanziano in:
- accordi volti a “disciplinare le relazioni di rete, ossia quelle interazioni che, per la presenza di elementi giuridici o di fatto, si creano tra diversi rapporti giuridici, regolati da fonti autonome, ma reciprocamente interferenti”[1];
- “accordi con pluralità di parti volti a introdurre regole per migliorare l’interazione tra uno o più committenti e l’intera filiera dei soggetti coinvolti, a vario titolo e con diverse competenze, nel raggiungimento di un certo risultato o nel successo o meno di una iniziativa complessa”. Essi “non si sostituiscono agli archetipi contrattuali (tipici o atipici) che legano gli operatori economici alle committenze, disciplinando le prestazioni principali affidate alle imprese (…), ma li completano occupandosi di regolamentare, in maniera proficua per tutti i componenti dell’alleanza, le loro reciproche interazioni”[2];
- accordi di secondo livello, che si prendono in carico “di ordinare gli ambiti di sovrapposizione tra rapporti oggetto di diversi contratti, fortemente condizionati gli uni dagli altri, costituendo una alleanza che consenta di affrontare imprevisti in maniera razionale, di ridurre eventuali maggiori costi che si vadano prefigurando e di accrescere la capacità del gruppo di rispondere al meglio alle esigenze del committente, portando valore pubblico aggiunto, in termini non solo economici o di risparmio della spesa pubblica, ma anche sociali, a beneficio della comunità”[3].
In pratica, gli accordi collaborativi funzionano come contratti “ad ombrello”, ossia uniscono sotto un’unica disciplina di rete tutti o alcuni dei contraenti coinvolti nell’esecuzione della medesima commessa, superando la logica one to one che caratterizza l’impostazione contrattuale tradizionale ed estendendo la sinergia, attraverso la creazione di economie di scala nell’interazione allargata, così da: i) cogliere le opportunità, individuando degli obiettivi comuni a tutti gli operatori coinvolti, premiando le condotte virtuose e penalizzando quelle antagoniste; ii) eliminare (o, quanto meno, ridurre) gli antagonismi e le conflittualità grazie alla creazione di organismi di rete che funzionano da camera di compensazione dei conflitti e delle crisi di progetto.
Come è stato osservato, “il pregio di questi strumenti è di tradurre in forme giuridicamente vincolanti l’intenzione delle parti di collaborare, oltre la mera dichiarazione di intenti, a favore di obiettivi condivisi”[4].
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L’art. 2, comma 2, dell’All. II.6-bis chiarisce che sono parti dell’accordo:
- la stazione appaltante, il responsabile unico del progetto (RUP) e, ove previsto in relazione all’oggetto del contratto:
a1) il direttore dei lavori (DL) o il direttore dell’esecuzione del contratto (DEC);
a2) il coordinatore per la sicurezza ex d.lgs. n. 81/2008 e s.m.i.;
a3) il progettista per le opere realizzate con l’impiego dei metodi e degli strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni di cui all’art. 43 del d.lgs. n. 36/2023;
- l’appaltatore;
- i subappaltatori, i subcontraenti e i fornitori che, su accordo della stazione appaltante e dell’appaltatore, risultano coinvolti in misura significativa nella fase di esecuzione, tenuto conto dell’oggetto e del valore del subappalto, del subcontratto o della fornitura e della rilevanza delle prestazioni per il raggiungimento del risultato perseguito con il contratto d’appalto.
Il comma 3 prevede, poi, che la stazione appaltante, anche su istanza motivata dell’appaltatore, possa invitare ad aderire all’accordo di collaborazione ulteriori soggetti pubblici e privati, inclusi:
- gli investitori istituzionali;
- le amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi semplificata ex art. 38, comma 3, del d.lgs. n. 36/2023, convocata per l’approvazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica (PFTE), nonché ai fini della localizzazione dell’opera;
- le amministrazioni e gli enti titolari di autorizzazioni e pareri;
- gli enti gestori di interferenze.
Poiché il comma 3 del menzionato art. 2 richiede, ai fini dell’individuazione degli ulteriori soggetti pubblici e privati, il loro coinvolgimento “a vario titolo nelle attività e funzioni strumentali al raggiungimento del risultato dell’esecuzione”, non è da escludere che tra le parti dell’accordo di collaborazione possano essere annoverati anche:
- l’organo di collaudo;
- il collegio consultivo tecnico.
Non è parimenti da escludere – in considerazione della definizione di uno o più obiettivi collaterali – il possibile coinvolgimento della comunità locale, anche come social witnesses secondo le best practices dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).
Nel caso di coinvolgimento di ulteriori soggetti, pubblici o privati che siano, l’accordo di collaborazione definirà le funzioni e le attività svolte dai predetti soggetti coerentemente con i compiti ad essi attribuiti dalla legge.
Le parti dell’accordo di collaborazione sono chiamate a collaborare secondo correttezza e buona fede, individuando misure volte a: (i) prevenire e individuare tempestivamente le eventuali criticità proprie della fase esecutiva; (ii) favorire il confronto sulle possibili soluzioni.
Il successivo comma 5 stabilisce, infine, “Fatta salva l’autonomia delle parti in ragione degli obiettivi e degli impegni della collaborazione” sono soggetti dell’esecuzione dell’accordo:
- il direttore strategico, “che è un soggetto imparziale, munito delle necessarie competenze e capacità organizzative, il quale coordina le parti al fine di migliorarne la cooperazione”;
- eventuali consulenti delle parti dell’accordo, “che monitorano l’andamento della collaborazione e supportano le parti nel raggiungimento degli obiettivi dell’accordo”.
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La struttura e i contenuti dell’accordo di collaborazione sono definiti dall’art. 3 dell’All. II.6-bis.
L’accordo di collaborazione è preceduto dalle premesse generali.
Le premesse generali, come chiarito dal comma 2, costituiscono parte integrante e sostanziale dell’accordo e illustrano:
- il contesto di riferimento;
- le caratteristiche dell’appalto a cui si riferisce l’accordo di collaborazione;
- le ragioni poste alla base della stipula dell’accordo di collaborazione;
- i principi e gli obiettivi (principali e collaterali) della collaborazione.
Gli obiettivi principali (cfr. art. 3, comma 3) sono individuati in coerenza con l’oggetto e con le caratteristiche specifiche dell’appalto e riguardano, in particolare:
- le attività, i compiti e lo scambio di informazioni necessarie al fine di garantire il rispetto dei tempi di esecuzione;
- le modalità di verifica delle prestazioni eseguite;
- il contenimento del costo o del prezzo del contratto entro i limiti di spesa fissati;
- ogni ulteriore aspetto funzionale al raggiungimento del risultato.
Gli obiettivi collaterali (v. art. 3, comma 4), viceversa, individuano le attività e gli impegni a carico delle parti finalizzati al conseguimento di ulteriori benefici di comune interesse, tenuto conto anche degli aspetti sociali, culturali e ambientali connessi all’appalto.
Rientrano così tra gli obiettivi collaterali, a mero titolo esemplificativo e non esaustivo, “la promozione della partecipazione ai subappalti o sub-contratti delle piccole e medie imprese con sede operativa nell’ambito territoriale di riferimento per le prestazioni di cui all’articolo 108, comma 7, terzo periodo”.
Altri esempi di obiettivi collaterali possono essere mutuati dalla prassi applicativa e possono consistere:
- nella riduzione del consumo delle risorse naturali e delle emissioni inquinanti nell’esecuzione dei lavori, ad esempio mediante la valorizzazione dei meccanismi di circular economy (riduzione della produzione dei rifiuti, utilizzo di materiali, strutture e attrezzature a bassa o a ridotta impronta ecologica, riduzione della produzione di rifiuti non pericolosi e riutilizzo dei materiali scavati) e la minimizzazione dei disagi e degli impatti ambientali sull’ecosistema urbano e sulla comunità che popola l’ambiente circostante al cantiere;
- creazione di un contesto lavorativo inclusivo e favorevole alla parità intergenerazionale, di genere ed etnica, operando in maniera equa e rispettosa dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.
L’accordo di collaborazione individua:
- l’oggetto, le attività finalizzate al raggiungimento degli obiettivi (principali e collaterali) e i corrispondenti impegni delle parti;
- le modalità di verifica degli obiettivi della collaborazione, mediante la definizione di indicatori di prestazione o di risultato e l’individuazione delle scadenze temporali del monitoraggio e di raggiungimento degli obiettivi ai quali sono connesse le eventuali premialità (cfr. art. 3, comma 1, lett. b) e comma 5);
- i meccanismi di prevenzione e riduzione dei rischi e di risoluzione delle possibili controversie relative all’esecuzione dell’accordo e il sistema di allerta, finalizzato a prevenire eventuali criticità che potrebbero comprometterne la corretta esecuzione e a fornire rimedi tempestivi in coerenza con il principio del risultato (v. art. 3, comma 1, lett. c) e comma 6);
- le responsabilità per l’esecuzione dell’accordo, determinate in ragione delle attività e dei compiti conferiti a ciascuna parte (cfr. art. 3, comma 1, lett. d);
- le eventuali premialità relative al raggiungimento degli obiettivi dell’accordo e i relativi meccanismi di operatività (v. art. 3, comma 1, lett. e) e commi 7 e 8);
- le funzioni e le attività delle parti e dei soggetti della collaborazione (cfr. art. 3, comma 1, lett. f);
- le ipotesi, le modalità e il procedimento di scioglimento dell’accordo per cause attinenti al raggiungimento dello scopo e alla scadenza degli adempimenti previsti o per cause imputabili a una grave e non giustificata violazione degli impegni concordati ad opera delle parti (v. art. 3, comma 1, lett. g) e comma 9).
Per quel che concerne, nello specifico, le premialità, l’art. 3, al comma 7, stabilisce che “L’accordo di collaborazione può prevedere meccanismi di premialità, connessi al raggiungimento degli obiettivi principali e collaterali dell’accordo di collaborazione se previsti nello schema di accordo inserito nei documenti iniziali di gara”.
È, poi, il comma 8 a specificare che le premialità possono consistere:
- nell’inserimento degli operatori economici aderenti all’accordo di collaborazione negli elenchi e negli albi per l’affidamento di contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea, fermo restando il rispetto delle procedure di affidamento previste dal Codice dei contratti pubblici;
- nella previsione di opzioni, sempre nel rispetto delle previsioni contenute nel d.lgs. n. 36/2023;
- in premi economici connessi al raggiungimento degli obiettivi della collaborazione, determinati dalla stazione appaltante nello schema di accordo in coerenza con quanto previsto dall’art. 126 del d.lgs. n. 36/2023, tenuto conto della rilevanza dell’obiettivo raggiunto e, comunque, nei limiti delle risorse disponibili nell’ambito del quadro economico dell’intervento;
- in premi reputazionali, consistenti nell’attribuzione di criteri premiali da “spendere” nelle successive procedure di affidamento, secondo quanto previsto dall’art. 108 del menzionato d.lgs. n. 36/2023.
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Da ultimo, l’art. 4, comma 1, dell’All. II.6-bis precisa che l’accordo di collaborazione impegna le parti a risolvere in buona fede, “con gli strumenti collaborativi previsti dall’accordo medesimo”, eventuali controversie sorte in sede di esecuzione dell’accordo e specifica che, se non è possibile risolvere in forma collaborativa la controversia, l’accordo di collaborazione individua, in coerenza con il contratto d’appalto e con i contratti al medesimo collegati, il ricorso preferenziale agli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie di cui al Titolo II della Parte I del Libro V del Codice dei contratti pubblici.
Il comma 2 dell’articolo appena menzionato chiarisce, parimenti, che in caso di costituzione del collegio consultivo tecnico (CCT), le parti dell’accordo di collaborazione sono tenute a osservare i pareri e le determinazioni del collegio, laddove incidenti su aspetti regolati dall’accordo di collaborazione stesso.
[1] D. Mosey, Dialogo sugli appalti collaborativi, a cura di E. Parisi, N. Posteraro, Napoli, 2019, p. 45. Secondo Mosey, in particolare, “l’accordo collaborativo, identificando la rete, crea una alleanza nella quale gli operatori economici e il committente si riconoscono, accettando di unirsi per perseguire un obiettivo comune e convogliando le energie di tutti per cogliere le opportunità che emergono nella fase di esecuzione dei rispettivi rapporti contrattuali”.
[2] Così S. Valaguzza, Governare per contratto. Come creare valore attraverso i contratti pubblici, Napoli, 2018, p. 196 ss.
[3] Così S. Valaguzza, Collaborare nell’interesse pubblico. Perché passare dai modelli antagonisti agli accordi collaborativi, Napoli, 2019, p. 36.
[4] Così A. Giusti, Al centro del risultato: l’affidamento dei servizi globali nel nuovo codice dei contratti pubblici, in Dir. amm., 2024, 2, p. 585. Questo perché – spiega D. Mosey, op. cit., p. 31 ss. – “le dichiarazioni di principio, anche quando riguardano l’intenzione delle parti di collaborare, possono sì creare valori condivisi tra i membri del team, ma non portano molto lontane se non vengono tradotte poi in specifici impegni, in attività (nella forma degli obblighi contrattuali) della collaborazione. Occorre poi ricordare, come insegna il caso pratico, che le dichiarazioni di intenti non hanno la forza di aiutare il team a gestire i rischi e le sfide in una maniera innovativa e che il fallimento nell’onorare un generico impegno a collaborare non fa che alimentare lo scontro tra le parti. Insomma, bisogna far capire alle imprese che la collaborazione, quando assume le vesti di una generica dichiarazione di intenti, diventa un mero insieme di compromessi reciproci, e non riesce a generare un sincero interesse a lavorare insieme e a condividere informazioni; in tal caso è difficile porre le basi per costruire un impegno condiviso che consenta al team di creare valore aggiunto e residua solo un senso di insoddisfazione e sospetto”.