Settembre 20, 2019

Algoritmi e Pa: come applicare i principi dell’azione amministrativa?

by matteo.portaluri in Approfondimenti

La pubblica amministrazione può utilizzare gli algoritmi nelle procedure valutative di propria competenza? Il Consiglio di Stato risponde positivamente al quesito. Incoraggia l’ingresso nei procedimenti amministrativi delle nuove tecnologie informatiche, specie in quelli con procedure seriali standardizzabili, ma fissa alcuni paletti.

– Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2270/2019 –

Nel costante processo di innovazione e digitalizzazione della pubblica amministrazione l’ultima frontiera è rappresentata dall’impiego di algoritmi, ossia di sequenze ordinate di operazioni di calcolo che, in via informatica, sono in grado di valutare e graduare una moltitudine di domande.
Secondo il Consiglio di Stato un più elevato livello di digitalizzazione dell’amministrazione pubblica è fondamentale per poter rispettare i canoni di efficienza ed economicità dell’azione amministrativa (art.1, L. 241/1990) i quali, secondo il principio costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), impongono all’amministrazione il conseguimento dei propri fini e la miglior cura dell’interesse pubblico, con il minor dispendio di mezzi e risorse attraverso lo snellimento e l’accelerazione dell’iter procedimentale. In definitiva la digitalizzazione ha come fine ultimo il miglioramento della qualità dei servizi resi ai cittadini e agli utenti.
L’ingegnerizzazione delle procedure valutative non può peraltro condurre ad eludere i principi che regolano lo svolgimento dell’azione amministrativa. Difatti la regola tecnica che governa l’algoritmo è pur sempre una regola amministrativa generale pensata e realizzata dall’uomo, anche se applicata dalla macchina. Conseguentemente tale regola deve soggiacere ai principi generali dell’attività amministrativa, quali quelli di pubblicità e trasparenza, di ragionevolezza e di proporzionalità; non può lasciare spazi applicativi discrezionali, ma deve prevedere con ragionevolezza una soluzione definita per tutti i casi possibili, anche i più improbabili.
È sempre quindi l’amministrazione a costruire la regola su cui si basa l’algoritmo soppesando i differenti interessi, primari e secondari, di volta in volta rilevanti, e a doverla con previsione motivare. Il giudice, poi, deve poter valutare la correttezza del processo automatizzato in tutte le sue componenti svolgendo, per la prima volta sul piano ‘umano’, una cognizione con oggetto le valutazioni e gli accertamenti fatti in via automatica dall’algoritmo stesso.
L’algoritmo, in tale prospettiva, è quindi da qualificarsi come un atto amministrativo informatico.
In conclusione: è ammesso l’utilizzo degli algoritmi se e in limiti in cui vi sia un’azione amministrativa trasparente e motivata, dalla quale si possa comprendere la ratio delle operazioni matematiche e l’obiettivo di interesse pubblico a cui l’amministrazione, sia pure digitalizzata, deve puntare.
Insomma, la digitalizzazione richiede ai giuristi di assumere un nuovo, imprescindibile ruolo, per evitare che si produca un’azione amministrativa illegittima.