September 30, 2022

STATO DELL’ARTE SULLA DECARBONIZZAZIONE NEL SETTORE CONSTRUCTION

by Studio Valaguzza in Approfondimenti

L’espressione Net Zero Carbon descrive l’obiettivo di raggiungere “emissioni nette zero” di gas serra, allo scopo di contenere il riscaldamento climatico globale come richiesto dall’Accordo di Parigi, che intende limitare l’aumento della temperatura a +1,5°C entro la fine secolo. Nel frattempo, la ricerca ha dimostrato che per evitare i peggiori impatti climatici, le emissioni di carbonio devono essere dimezzate entro il 2030 e raggiungere il target di Net Zero entro il 2050.

Il concetto Net Zero si differenzia da quello di Carbon Neutrality, che significa ottenere un risultato finale di zero emissioni di carbonio per un’azienda, un sito, un prodotto, un marchio o un evento, limitando le emissioni nella misura in cui ciò sia possibile e, in un momento successivo, compensando le emissioni rimanenti con una quantità equivalente di emissioni evitate o compensate (offset emissions). Ciò può essere ottenuto, ad esempio, acquistando crediti di compensazione delle emissioni di carbonio (carbon offset credits) per compensare la differenza. Il Net Zero rappresenta, invece, un obiettivo più ambizioso che si applica all’intera organizzazione e alla sua value chain: significa ridurre tutte le emissioni indirette di carbonio, partendo dai fornitori a monte (upstream suppliers) e giungendo fino agli utenti finali. Per andare oltre la Carbon Neutrality e raggiungere il Net Zero, dunque, occorre ampliare il modo in cui si pensa al carbonio.

A tal fine, la norma ISO 14064-1 fornisce una classificazione delle emissioni: le emissioni dirette (Scope/Categoria 1) da fonti o sorgenti all’interno dei confini organizzativi posseduti o controllati dall’organizzazione, che possono essere stazionarie (ad esempio, caldaie, generatori elettrici, processi industriali) o mobili (ad esempio, veicoli); le emissioni indirette (Scope2/Categoria 2) correlate alla combustione associata alla produzione dell’energia finale (elettricità, calore, vapore, aria compressa, ecc.) e utilizzata dall’organizzazione; tutte le altre emissioni indirette (Scope 3/Categoria 3-4-5-6) che si verificano nella value chain di un’azienda e che derivano, ad esempio, dalla produzione di materiali di input, da viaggi d’affari, da spostamenti casa-lavoro, dalla gestione dei rifiuti, dalle varie fasi di utilizzo e dal fine vita dei prodotti. Al fine di raggiungere l’obiettivo di Net Zero, le imprese sono obbligate a comprendere e ridurre le emissioni in tutte le categorie di emissione.

Uno dei settori di mercato a più elevata carbon footprint è sicuramente quello delle costruzioni. Infatti, secondo l’IPCC, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, un percorso conforme a contenere l’innalzamento della temperatura terrestre a +1.5°C richiede che le emissioni da costruzione siano ridotte dell’80-90% entro il 2050, raccomandando l’utilizzo di materiali a basso tenore di carbonio come misura di mitigazione[1].

Inoltre, la Commissione Europea, nella comunicazione “A Clean Planet for all”, imputa agli edifici la più alta percentuale di consumi finali di energia all’interno dell’UE, pari al 40% del totale, ma ritiene possibile che, grazie all’utilizzo delle tecnologie già disponibili, tutti i nuovi edifici siano nel breve termine NZEB (Nearly Zero Energy Building), cioè edifici a energia zero, in cui vengono quasi eliminate le emissioni associate al loro uso e all’energia impiegata per riscaldarli, raffreddarli, illuminarli e alimentarli. Tuttavia, se l’obiettivo NZEB è tecnicamente raggiungibile in Europa in tempi brevi, nell’ottica di un bilancio complessivo rispetto al ciclo di vita degli edifici, le emissioni associate al c.d. carbonio incorporato, cioè quello derivante dalla produzione, dal trasporto, dallo smaltimento dei materiali da costruzione e dal processo di costruzione stesso, potrebbero aumentare progressivamente il proprio contributo. Per questo motivo, risulta necessario affrontare in una prospettiva più ampia la decarbonizzazione, puntando piuttosto alla realizzazione di edifici a emissioni quasi zero (NZCB, Net Zero Carbon Building). Ciò può essere ottenuto attraverso una migliore progettazione degli edifici, l’estensione del loro ciclo di vita, la riduzione dei rifiuti da costruzione, il riutilizzo e il riciclaggio. Questo approccio maggiormente onnicomprensivo e lungimirante è favorito non solo da un uso più avanzato del BIM e dallo sviluppo delle competenze dei progettisti, ma anche da una normativa a livello nazionale che incoraggi l’armonizzazione tra progettazione strutturale e progettazione della sostenibilità.

Nel nostro Paese, sono diversi gli strumenti che sono stati adottati a tal fine, soprattutto con riferimento alle costruzioni nel settore pubblico.

Innanzitutto, i Criteri Ambientali Minimi (CAM) sono i requisiti ambientali che devono essere rispettati dagli operatori economici che si interfacciano e concludono contratti con le pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, nonché per l’esecuzione di lavori.

Si tratta, infatti, di parametri prefissati per legge per le varie fasi del processo di acquisto delle p.a., volti a individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto conto della disponibilità di mercato.  Essi sono definiti nell’ambito di quanto stabilito dal Piano per la sostenibilità ambientale dei consumi del settore della pubblica amministrazione e adottati con Decreto del Ministero della Transizione Ecologica. L’efficacia dei CAM è stata successivamente assicurata grazie all’art. 18 della L. 221/2015 e, successivamente, all’art. 34 recante “Criteri di sostenibilità energetica e ambientale” del Codice dei Contratti pubblici, così come modificato dal D.Lgs 56/2017, che ne hanno reso obbligatoria l’applicazione da parte di tutte le stazioni appaltanti.

I CAM relativi ad affidamenti di servizi di progettazione e affidamenti di lavori per interventi edilizi sono stati approvati con D.M. 23 giugno 2022, n. 256, e comprendono, oltre a determinate tecniche progettuali di livello territoriale-urbanistico, anche specifici requisiti attinenti alla prestazione energetica, all’illuminazione, al fine vita, ai prodotti da costruzione e alle attività di cantiere.

Un altro principio che è entrato a far parte del nostro ordinamento dal sistema comunitario in materia di sostenibilità delle diverse attività economiche, tra cui il settore edilizio, è il c.d. DNHS – Do No Significant Harm, letteralmente “non arrecare un danno significativo”.

Il Regolamento UE 2020/852, infatti, definisce ecosostenibile quelle attività che soddisfino contemporaneamente le seguenti condizioni: (i) dare un contributo sostanziale  ad almeno uno dei seguenti sei obiettivi ambientali (mitigazione del cambiamento climatico; adattamento ai cambiamenti climatici; uso sostenibile e protezione dell’acqua e delle risorse marine; transizione verso un’economia circolare; prevenzione e controllo dell’inquinamento; tutela e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi); (ii) “non arrecare un danno significativo” a nessuno degli altri obiettivi ambientali[2]; (iii) essere svolte nel rispetto di garanzie sociali minime.

Questi principi generali sono successivamente stati specificati nel Regolamento delegato UE 2021/2139 della Commissione, precisando per ogni singolo ambito le prescrizioni minime da assolvere al fine di evitare un danno significativo. Il paragrafo 7, in particolare, determina i criteri di vaglio tecnico da rispettare per l’edilizia e le attività immobiliari. Quest’ultimi sono: la capacità di apportare un contributo sostanziale alla mitigazione dei cambiamenti climatici; la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici; l’uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine; la propensione nei confronti della transizione verso un’economia circolare; la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento; la protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.

Da ultimo, il regolamento UE 2021/241, il Dispositivo per la ripresa e la resilienza, ha stabilito che tutti i piani adottati dagli Stati membri per usufruire dei fondi europei soddisfino il vincolo DNSH. Di conseguenza, esso risulta anche tra i pilastri fondamentali del PNRR italiano.

Un ulteriore esempio di trasposizione della normativa europea in materia di ecosostenibilità a livello nazionale riguarda la disciplina degli investimenti pubblici. Infatti, nel nostro Paese, tutte le decisioni relative ad essi devono essere coerenti ecompatibili con il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile, così come definiti dal Regolamento UE 2020/852 sopracitato, il quale istituisce un quadro che favorisce le attività economiche eco-compatibili.

A tal fine, in primo luogo, il decreto-legge 111/2019, convertito dalla legge 141/2019, ha previsto che il CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) assumesse, a partire dal 2021, la denominazione CIPESS (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile), con lo scopo di assicurare una maggior coerenza delle politiche settoriali e territoriali con gli impegni assunti in sede internazionale ed europea, tra cui l’Agenda ONU 2030, le conclusioni delle Conferenze sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite, l’Accordo di Parigi, l’Accordo di Glasgow e lo European Green Deal.

In secondo luogo, il Presidente del Consiglio dei Ministri, con direttiva del 7 dicembre 2021 concernente le “Linee di indirizzo sull’azione del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS) per l’anno 2022”, ha individuato gli indirizzi operativi riguardanti gli investimenti pubblici sostenibili. In particolare: (i) le amministrazioni componenti il CIPESS promuovono investimenti programmati coerentemente con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile; (ii) con delibera del CIPESS, entro l’anno 2022, sono definite le linee guida generali riferite alle proposte di investimento pubblico da sottoporre all’esame del Comitato, (iii) il DIPE promuove intese con le amministrazioni componenti il CIPESS al fine di pervenire a una metodologia volta alla definizione della documentazione istruttoria e progettuale che deve corredare la presentazione degli interventi da sottoporre al CIPESS, predisporre una procedura di valutazione ex ante di tali iniziative e una procedura di valutazione ex post dei risultati ottenuti.

Infine, a livello normativo, la direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica edilizia (EPBD, Energy Performance of Building Directive) è il principale strumento legislativo dell’Unione Europea per ottenere il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici. La direttiva prevede, infatti, che: “gli Stati membri entro il 31 dicembre 2020 dovranno assicurare che tutti i nuovi edifici siano a energia quasi zero, e che dopo il 31 Dicembre 2018 i nuovi edifici occupati e di proprietà di autorità pubbliche siano a energia quasi pari a zero” (art. 9).

La direttiva europea è stata recepita in Italia con il D.L. 4 giugno 2013, n. 63 (convertito con L. 3 agosto 2013, n. 9) e con il D.M. 26 giugno 2015. Le scadenze erano le seguenti: dal 1° gennaio 2019 gli edifici di nuova costruzione occupati da pubbliche amministrazioni e di proprietà di queste ultime, ivi compresi gli edifici scolastici, dovevano essere edifici a energia quasi zero, mentre dal 1° gennaio 2021 la disposizione di cui sopra si estendeva anche agli edifici privati. Per questo motivo sono stati introdotti una serie di strumenti di incentivazione come il Superbonus 110%, il Conto Termico ed i Certificati Bianchi.

A livello regionale, Lombardia ed Emilia-Romagna avevano già previsto tale obbligo: in Lombardia, l’obbligo è in vigore dal 2016, per tutti gli edifici nuovi o in ristrutturazione, sia pubblici che privati (cfr. Decreto n. 6480/2015); in Emilia-Romagna, l’obbligo è in vigore dal 2019 (cfr. Delibera n. 967/2015).

Secondo i dati dell’Osservatorio degli edifici a energia quasi zero (nZEB) – costituito presso ENEA – Agenzia Nazionale Efficienza Energetica – relativi al biennio 2016-2018, nel 2018 gli edifici NZEB in Italia erano 1400, di cui il 90% erano nuove costruzioni (delle quali l’85% era a uso residenziale).

Purtroppo, non è ancora stato pubblicato un dossier più recente, ma dati interessanti sono desumibili da un recente articolo de la Repubblica[3]: a Milano, ad oggi, ci sono 4.363 edifici NZEB (di cui il 94,9% sono di carattere residenziale, mentre il restante 5,1% sono uffici ed esercizi commerciali). Inoltre, per il 77,5 % si tratta di edifici di nuova costruzione, mentre il restante (circa) 16% è costituito da interventi di riqualificazione su edifici già esistenti. Infatti, Milano è un’eccellenza da questo punto di vista, essendo la città italiana con la più alta concentrazione di edifici con certificazioni ambientali.

Già nel 2019 veniva inaugurata la scuola primaria di viale Puglie in seguito alla sua riqualificazione, un edificio progettato e costruito interamente in BIM, con massimi livelli di efficienza energetica grazie ai pannelli solari, alla facciata ventilata, al nuovo tetto e ai nuovi serramenti.

Esempi ancora più recenti di costruzioni NZEB sono Torre Gioia 22 e L’Arca.
Torre Gioia è un grattacielo di 35.800 mq che si sviluppa su 26 piani e che è stato realizzato in seguito alla demolizione dell’edificio ex INPS in disuso dal 2012, dopo una bonifica che era stata necessaria al fine di rimuovere oltre 200 tonnellate di amianto. L’immobile è dotato di oltre 6.000 metri quadri di pannelli fotovoltaici integrati nella facciata che, assieme all’utilizzo dell’acqua di falda, consentono una riduzione del fabbisogno energetico del 75% rispetto a edifici tradizionali. Addirittura, l’energia prodotta dal sistema fotovoltaico sarebbe sufficiente a soddisfare il fabbisogno energetico di 306 abitazioni. 
L’Arca, invece, è la nuova sede del Gruppo CAP. Si tratta di un edificio di 11.250 mq che si sviluppa su 6 piani. È una struttura altamente sostenibile grazie alla scelta dei materiali per l’involucro esterno (pietra lavica) e al ricorso a pannelli solari (442) che garantiscono il 61,7% dell’autonomia energetica. Inoltre, per il sistema di riscaldamento e raffreddamento, al fine di evitare l’impiego di acqua potabile, è stato predisposto un impianto che utilizza l’acqua di prima falda oltre che le acque meteoriche (opportunamente filtrate).

 

 

[1] IPCC, Strengthening and Implementing the Global Response, in Global warming of 1.5°C. An IPCC Special Report on the impacts of global warming of 1.5°C above pre-industrial levels and related global greenhouse gas emission pathways, in the context of strengthening the global response to the threat of climate change, sustainable development, and efforts to eradicate poverty, 2018.

[2] Ai sensi dell’art. 17 del regolamento sopracitato, un’attività economica arreca un danno significativo: 1. alla mitigazione dei cambiamenti climatici se conduce a significative emissioni di gas serra (GHG); 2. all’adattamento ai cambiamenti climatici se l’attività conduce a un peggioramento degli effetti negativi del clima attuale e del clima futuro previsto su sé stessa o sulle persone, sulla natura o sugli attivi; 3. all’uso sostenibile o alla protezione delle risorse idriche e marine se nuoce al buono stato o al buon potenziale ecologico di corpi idrici, comprese le acque di superficie e sotterranee; o al buono stato ecologico delle acque marine; 4. all’economia circolare, inclusa la prevenzione, il riutilizzo ed il riciclaggio dei rifiuti, se l’attività conduce a inefficienze significative nell’uso dei materiali o nell’uso diretto o indiretto di risorse naturali quali le fonti energetiche non rinnovabili, le materie prime, le risorse idriche e il suolo, in una o più fasi del ciclo di vita dei prodotti, anche in termini di durabilità, riparabilità, possibilità di miglioramento, riutilizzabilità o riciclabilità dei prodotti; l’attività comporta un aumento significativo della produzione, dell’incenerimento o dello smaltimento dei rifiuti, ad eccezione dell’incenerimento di rifiuti pericolosi non riciclabili; o lo smaltimento a lungo termine dei rifiuti potrebbe causare un danno significativo e a lungo termine all’ambiente; 5. alla prevenzione e riduzione dell’inquinamento se l’attività comporta un aumento significativo delle emissioni di sostanze inquinanti nell’aria, nell’acqua o nel suolo rispetto alla situazione esistente prima del suo avvio; 6. alla protezione e al ripristino di biodiversità e degli ecosistemi se nuoce in misura significativa alla buona condizione e alla resilienza degli ecosistemi; per lo stato di conservazione degli habitat e delle specie, comprese quelle di interesse per l’Unione.

[3] A Milano 4.300 edifici supergreen non inquinano e risparmiano energia, in La Repubblica, 19 settembre 2022.