Negli ultimi mesi, i giudici amministrativi si sono pronunciati con diverse sentenze in relazione a controversie in cui operatori economici, qualificati come proponenti o promotori di operazioni di finanza di progetto, si sono visti revocare, per varie ragioni, la dichiarazione di pubblico interesse della proposta o finanche l’aggiudicazione della gara (cfr., tra le più recenti, TAR Lombardia Milano, Sez. I, 22 aprile 2024, n. 1211; Cons. Stato, Sez. V, 4 marzo 2024, n. 2069; TAR Puglia Bari, Sez. II, 28 febbraio 2024, n. 237).
La citata giurisprudenza è interessante perché può essere letta come una sorta di vademecum delle regole applicabili alla procedura di project financing, oltre che come osservatorio per comprendere quando gli atti di ritiro che incidono sfavorevolmente sulla sfera giuridica privata possono essere contestati con qualche ragionevole chance di successo.
Il primo punto, assodato in giurisprudenza, è che la procedura di project financing enuclea due serie procedimentali strutturalmente autonome, anche se collegate: la prima di selezione del progetto di pubblico interesse e la seconda di gara ad evidenza pubblica sulla base del progetto dichiarato di pubblica utilità.
La prima fase è connotata da alta discrezionalità amministrativa e, pertanto, il giudice amministrativo non potrebbe mai sostituirsi all’Amministrazione nel dichiarare il pubblico interesse di una proposta che sia stata sottoposta all’attenzione del soggetto pubblico.
La separazione funzionale delle due fasi implica che, al termine della prima, l’operatore economico definito proponente non possa rivendicare diritti in relazione alla seconda. Anzi, nemmeno una volta dichiarata di pubblico interesse la proposta del privato e individuato il promotore, l’Amministrazione è tenuta a dare corso alla procedura di gara; secondo la giurisprudenza amministrativa, infatti, da un lato, non sussiste alcun vincolo per l’Amministrazione e, dall’altro, il promotore è titolare di una mera aspettativa (non giuridicamente tutelata) a partecipare alla procedura di gara, condizionata dalle valutazioni di esclusiva pertinenza dell’Amministrazione in ordine all’opportunità di contrattare sulla base della proposta.
Stessa conclusione anche per quanto riguarda il rapporto tra aggiudicazione e contratto: il promotore prelazionario o, comunque, l’aggiudicatario della gara non può rivendicare un diritto o una aspettativa giuridicamente qualificata alla stipula del contratto; di conseguenza, la revoca dell’aggiudicazione, se adeguatamente motivata, non può essere contestata solo in ragione di una posizione di interesse dell’aggiudicatario.
Ovviamente, la revoca, per essere legittima, deve basarsi su adeguate e circostanziate motivazioni.
Così, per esempio, il TAR Lombardia, Sez. I, 22 aprile 2024, n. 1211, ha avuto occasione di recente di chiarire, giudicando di una revoca relativa ad una proposta inerente all’adeguamento, riqualificazione tecnologica, efficientamento energetico e gestione degli impianti di pubblica illuminazione comunali, che è da considerarsi generico e privo di specificità (perciò annullabile) un provvedimento di revoca che si appoggi alla disponibilità di «nuove tecnologie» più economiche, ma si limiti ad affermare tale circostanza senza circostanziarla anche rispetto alla decisione già presa, peraltro senza illustrare il perché non si sia valutato di procedere (invece che con una revoca) con una richiesta di adeguamento del progetto e che faccia riferimento al cambio della maggioranza politica in seno agli organi rappresentativi comunali, che non può costituire una valida ragione di revoca della dichiarazione di pubblica utilità e fattibilità di una già approvata proposta di project financing.
Lo ius poenitendi (cioè la revoca) può essere disposto legittimamente dall’Amministrazione anche post gara, ove sussistano adeguate ragioni per rivalutare l’interesse pubblico, come ha affermato il TAR Puglia Bari, Sez. II, 28 febbraio 2024, n. 237, riflettendo sulla valenza generale dell’art. 11-quinquies della L. n. 241/1990, secondo cui il potere di revoca dei provvedimenti amministrativi – nel caso di specie motivato per sopravvenuti problemi finanziari dell’ente e per le mutate condizioni economico finanziarie del contesto – è legittimamente esercitabile: a) per sopravvenuti motivi di pubblico interesse; b) per un mutamento imprevedibile della situazione di fatto; c) per una rinnovata valutazione dell’interesse pubblico originario.
Particolarmente interessanti paiono anche le pronunce che si interrogano sulla spettanza o meno dell’indennizzo ex art. 21-quinquies della L. n. 241/1990.
In relazione a detto aspetto, la giurisprudenza tende a negare il riconoscimento dell’indennizzo alla luce delle considerazioni che seguono:
- “nella disciplina delproject financing l’obbligo di indennizzo ex 21 quinquies l. n. 241/90 risulta cedevole rispetto alla testuale disciplina differenziata dettata dall’art. 183, commi 12 e 15, del d.lgs. n. 50/2016, il quale riconosce al promotore il diritto all’indennizzo delle spese sostenute per la procedura solo ove il promotore non risulti aggiudicatario della gara (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 agosto 2023, n. 7930)” (Cons. Stato, Sez. V, 14 febbraio 2024, n. 1502);
- la revoca della dichiarazione di pubblico interesse del progetto non dà diritto ad alcun risarcimento per il proponente nel caso in cui il procedimento di project financing non sia giunto alla fase dell’indizione della gara, dal momento che il soggetto individuato come promotore rimane, rispetto alla procedura di affidamento, nella posizione di potenziale concorrente e, come tale, non vanta alcun affidamento idoneo a consolidare una posizione suscettibile di fondare una responsabilità da parte dell’Amministrazione;
- la dichiarazione di pubblico interesse non rappresenta un atto ad efficacia durevole attributivo in maniera definitiva di un vantaggio, in quanto prodromico all’indizione di una gara, non fondativo neppure di indennizzo in caso di revoca della stessa (Cons. Stato, Sez. V, 26 gennaio 2024, n. 847).
Vi è, infine, un’interessante questione processuale che merita di essere menzionata.
In merito al tipo di giudizio da instaurare a fronte di un contenzioso che riguardi gli atti della fase 1 (cioè la fase inerente alla selezione del progetto di pubblico interesse), il TAR Sicilia Catania, Sez. I, nella sentenza 29 aprile 2024, n. 1557 ha precisato che occorre far riferimento al rito ordinario e non al rito speciale ex art. 119 c.p.a., contenuto in una norma eccezionale, in quanto non si tratta, qui, di contestare “provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di lavori pubblici, servizi e forniture”; inoltre – rammentando l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria (sentenza 27 luglio 2016, n. 22) – la locuzione “affidamento” contenuta negli artt. 119, comma 1, lett. a), e 120 c.p.a. “dev’essere decifrata come significativa dell’atto con cui, contestualmente, la pubblica amministrazione sceglie il suo contraente e gli attribuisce la titolarità del relativo rapporto”.
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In sostanza, se le argomentazioni sviluppate in giurisprudenza appaiono tutte accettabili, dal punto di vista giuridico, il timore è che questo trend possa legittimare una certa superficialità nell’esame delle proposte – “tanto poi c’è la revoca” – in un momento in cui la diffusione di modelli partenariali consente di far sì che i finanziamenti raccolti dai privati diventino una leva importante dell’economia diretta alla creazione di opere e interventi di interesse pubblico.