- Quadro normativo italiano ed europeo. Criticità
Il tessuto produttivo italiano, com’è noto, è composto in larghissima parte[1] da micro, piccole e medie imprese.[2]Tuttavia, il loro accesso al mercato dei contratti pubblici resta caratterizzato da significative barriere all’ingresso. Un recente studio europeo[3] evidenzia che esse vincono mediamente una percentuale di gare assai inferiore a quella raccomandata dalla Commissione europea (45-60%) in molti Stati membri (tra cui Italia, Francia, Portogallo).[4]Questa circostanza ha indotto il legislatore comunitario a suggerire diverse misure di incentivazione per le MPMI, secondo un approccio soft, che contempera la necessità di sostenere le suddette imprese coi principi di libera concorrenza e non discriminazione.
Come già chiarito in un precedente approfondimento, rileva anzitutto il “Codice europeo di buone pratiche per facilitare l’accesso delle PMI agli appalti pubblici”, pubblicato nel giugno 2008 congiuntamente allo “Small Business Act” (“SBA”).[5] Entrambi i documenti, pur non vincolanti, costituiscono la base delle politiche europee in favore delle PMI. Il primo effettua raffronto delle politiche adottate dai vari Stati membri, individuando una serie di opzioni percorribili, tra cui la suddivisione dei contratti in lotti, lo sfruttamento del raggruppamento degli operatori economici, la pubblicizzazione del subappalto e l’incentivo all’utilizzo delle procedure di appalto telematiche (e– procurement). Il secondo enuclea dieci principi volti a sostenere le MPMI nel mercato unico, tra cui si annoverano quello di «pensare anzitutto in piccolo» e di «adeguare l’intervento politico pubblico alle esigenze delle PMI: facilitare la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici e usare meglio le possibilità degli aiuti di Stato per le PMI».
La Direttiva UE n. 24/2014 ha risentito dell’influenza dei sopracitati documenti, richiedendo agli Stati membri di «incoraggiare la partecipazione delle PMI agli appalti pubblici» e di aumentare la percentuale di appalti aggiudicati alle PMI rispetto all’ammontare complessivo degli stessi.[6]
Quanto all’ordinamento italiano, il nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. 36/2023) si pone nel solco della disciplina precedente, dettata dal d.lgs. 50/2016. In particolare, all’articolo 10, comma 3, si prevede una disposizione di favore nei confronti delle MPMI, la quale sancisce la necessità che gli eventuali requisiti speciali, di carattere economico-finanziario e tecnico-professionale, siano attinenti e proporzionati all’oggetto del contratto, così favorendo, purché ciò sia compatibile con le prestazioni da acquisire e con l’esigenza di realizzare economie di scala funzionali alla riduzione della spesa pubblica, la possibilità di crescita delle micro, piccole e medie imprese. Tuttavia, occorre sin d’ora sottolineare che tale disposizione, alquanto generica, trova scarsa applicazione nella prassi.
Ulteriori disposizioni incentivanti si rinvengono agli artt. 108 e 119 co. 11 lett. a) del codice, i quali sanciscono rispettivamente la possibilità di prevedere criteri premiali atti a favorire la partecipazione delle piccole e medie imprese nella valutazione dell’offerta e la corresponsione diretta da parte della stazione appaltante dell’importo dovuto al subappaltatore o subcontraente che sia una mPMI.[7]
Ad ogni modo, cuore della strategia italiana per il sostegno alle mPMI resta la suddivisione in lotti, la cui portata generale è ribadita dall’art. 58 del d.lgs. 36/2023. In particolare, al comma 2 si prevede esplicitamente che «Nel caso di suddivisione in lotti, il relativo valore deve essere adeguato in modo da garantire l’effettiva possibilità di partecipazione da parte delle microimprese, piccole e medie imprese». Tuttavia, è necessario evidenziare che la giurisprudenza amministrativa[8] interpreta tale disposizione come suscettibile di deroga mediante adeguata giustificazione, di fatto frustrando la sua funzione di sostegno alle piccole e medie imprese.[9]
Da tale quadro emerge dunque una disciplina non pienamente in grado di rimuovere le barriere di accesso delle piccole e medie imprese al mercato dei contratti pubblici, come dimostra il fatto che, come si è già detto, l’Italia è posizionata al di sotto della media europea con riferimento alla quota di appalti pubblici aggiudicati alle mPMI.[10]Tale circostanza dovrebbe imporre delle riflessioni circa l’adeguatezza dell’attuale impianto normativo e sulla necessità di apportare ad esso delle modifiche. Da questo punto di vista le esperienze comparate possono costituire, in alcuni casi, modelli virtuosi da seguire.
- Uno sguardo alla normativa francese
Ad oggi, la Francia è sicuramente uno degli Stati più all’avanguardia nel sostenere le piccole e medie imprese. La regola generale, come nel caso italiano, è la suddivisione in lotti, prevista dall’ R.2113-1 del Code de la Commande Publique (“CCP”). Tuttavia, a quest’ultima si può derogare (ai sensi degli artt. R.2113-2 e 2113-3) previa adeguata motivazione. Molto rilevante è la disciplina di cui all’articolo R.2113-1, la quale obbliga – salvo eccezioni[11] – gli operatori economici che si aggiudicano “appalti globali”, ossia appalti pubblici che derogano alla regola della lottizzazione, ad affidare alle piccole e medie imprese o agli artigiani una quota minima di esecuzione del contratto.[12]
In aggiunta, il codice prevede che il tasso di subappalto garantito alle PMI costituisce un criterio di selezione per incoraggiare le imprese ad andare oltre la quota minima fissata dal legislatore. Nel merito si richiama l’articolo 2152-9 nella parte in cui sancisce che «il committente tiene conto, tra i criteri di aggiudicazione degli appalti globali di cui all’articolo L. 2171-1, della parte di esecuzione dell’appalto che l’offerente si impegna ad affidare alle piccole e medie imprese o agli artigiani».
- Brevi cenni al caso portoghese
Anche il Portogallo si annovera tra gli Stati membri che prevedono una serie di incentivi volti ad aumentare il tasso partecipazione delle mPMI al mercato dei contratti pubblici. In particolare, ferma restando la generale regola della suddivisione in lotti, nel 2021 è stato parzialmente modificato il Código Dos Contratos Públicos, prevedendo all’articolo 54A la possibilità di riservare gli appalti alle PMI negli appalti di lavori di valore inferiore a 500.000 euro e di forniture o servizi di valore inferiore alla soglia europea stabilita dalla direttiva n. 24/2014. A ben vedere si tratta di un modello differente da quello francese, nel quale l’obbligo è in capo agli operatori economici: nel caso portoghese, invece, la facoltà (e non l’obbligo) è riferibile alle amministrazioni aggiudicatrici.
- Uno sguardo alla normativa spagnola
Tra le diverse caratteristiche comuni a Italia e Spagna dal punto di vista del tessuto economico vi è l’altissimo tasso di mPMI da cui quest’ultimo è formato.[13] Il legislatore spagnolo, preso atto di ciò, ha approntato un sistema di incentivi non dissimile da quello italiano, caratterizzato prevalentemente dalla divisione in lotti e da disposizioni di favor alquanto generiche. In particolare, gli artt. 1 co. 3[14] e 28 co. 2[15] della Ley de Contratos del Sector Publico (LCSP) prevedono che uno degli obiettivi della contrattazione pubblica sia proprio facilitare l’accesso delle mPMI alla stessa.
A ciò si aggiunga la presenza di un’unica piattaforma nazionale (Plataforma de Contratos del Sector Publico) che facilita la ricerca di procedure di evidenza pubblica da parte le piccole e medie imprese, le cui esigenze sono inoltre recepite anche dagli artt. 108 e 198 LCSP, i quali prevedono rispettivamente la possibilità di assolvere alla prestazione della garanzia definitiva mediante ritenuta sul pagamento del prezzo operata dall’amministrazione fino a concorrenza dell’importo garantito (qualora ciò sia previsto nella documentazione di gara) e il pagamento anticipato del prezzo. Inoltre, ai sensi degli artt. 88 e 89 LCSP è previsto che le amministrazioni aggiudicatrici valorizzino aspetti differenti dal mero fatturato ai fini della comprova della capacità economica e finanziaria per appalti di lavori e di forniture[16] inferiori alla soglia di 500mila euro.[17]
Dunque, nel complesso la normativa spagnola è improntata ad un generale favor nei confronti delle mPMI, senza che tuttavia si prevedano riserve specifiche alle stesse come accade in Francia e in Portogallo: in ciò, si ribadisce, il caso spagnolo assomiglia a quello italiano.
È tuttavia interessante segnalare che sono state prese alcune iniziative lodevoli a livello locale, le quali hanno ricevuto il plauso delle istituzioni comunitarie.[18] Ad esempio, il municipio di Valladolid ha introdotto nella propria normativa appalti riservati specificamente alle mPMI innovative. Inoltre, si prevede una generale preferenza per le stesse nei contratti di importo minore assegnati tramite negoziazione senza previa pubblicazione del bando.
- Brevi cenni all’ordinamento tedesco
L’ordinamento tedesco non si contraddistingue per particolari iniziative a favore delle mPMI, salvo la presenza degli istituti che, come già si è evidenziato, sono comuni ai diversi Stati membri, vuoi per propria tradizione, vuoi per attuazione delle Direttive europee. La disciplina della contrattazione pubblica, materia condivisa tra governo federale e singoli Land (gli stati federati tedeschi), prevede, su entrambi i livelli, la regola generale della suddivisione in lotti, nonché la possibilità di partecipazione alle gare in forma aggregata (ad esempio mediante consorzi).
Come si diceva, al netto di ciò non si rinvengono altre peculiari misure, che potrebbero, se introdotte in futuro, trovare giustificazione nel generale obbligo di prendere «primariamente in considerazione» l’interesse delle PMI previsto dall’art. 97 dell’Antitrust act.
- Uno sguardo fuori dall’UE: il caso del Regno Unito
In generale, una delle caratteristiche che rende il Regno Unito un ordinamento d’avanguardia nel favorire la partecipazione delle PMI è la grande flessibilità della sua normativa, innovata di recente con l’imminente entrata in vigore del nuovo Procurement Act, che avverrà il prossimo 28 ottobre 2024, tra i cui principali obiettivi v’è proprio quello di facilitare l’accesso delle PMI (SME’s)[19] alle procedure ad evidenza pubblica, così come già indicato dal National Procurement Policy Statement.[20]
In particolare, tra le diverse misure previste (tra le quali vi è naturalmente la regola generale della suddivisione in lotti) si annovera anzitutto la creazione di una nuova piattaforma digitale centralizzata sulla quale saranno pubblicati tutti i dettagli sulle procedure ad evidenza pubblica, al fine di rendere più agevole l’individuazione delle stesse da parte delle SME’s. Inoltre, dovranno essere forniti feedback agli unsuccessful bidders. In secondo luogo, si segnala l’obbligo di introdurre requisiti di partecipazione e tempistiche proporzionati all’oggetto del contratto di modo da andare incontro alle esigenze delle PMI, la prestazione della garanzia solo in caso di aggiudicazione invece che durante la gara e la previsione del pagamento immediato (prompt payment provision) a 30 giorni, per evitare che le PMI soffrano economicamente. A ciò si aggiunge l’obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici di considerare documenti diversi (purché affidabili) dal bilancio revisionato per le PMI che non hanno l’obbligo di averne uno al fine di individuare la capacità economica dell’impresa.
Al netto delle singole misure, come si diceva poc’anzi, è la generale flessibilità del sistema a costituire il fattore determinante nella strategia britannica di sostegno alle SME’s. Ciò è testimoniato dalla riduzione delle procedure di gara essenzialmente a due (la open procedure e la new competitive flexible procedure, che prevede un’unica fase, senza c.d. participation stage) e l’ampliamento del ricorso all’ early market engagement, interlocuzione preliminare tra amministrazione aggiudicatrice e potenziale appaltatore, cui può partecipare l’intera filiera di subappaltatori (composta anche e soprattutto da PMI), sin dalla fase di prima concettualizzazione della risposta al bisogno di interesse pubblico.
- Conclusioni e spunti di riforma
Dall’analisi effettuata emerge che delle diverse giurisdizioni analizzate, Francia e Portogallo sono le uniche in cui si prevede una quota di riserva a favore delle PMI, misura tra le più incisive di quelle presentate. Tuttavia, come si è accennato, i due Paesi operano secondo due modelli diversi tra di loro, ancorché non antitetici.
In Francia vige un sistema che impone all’appaltatore di subappaltare una quota minima (il 10% del valore totale) dell’appalto di grandi dimensioni (cioè non diviso in lotti) alle PMI. D’altra parte, la normativa portoghese prevede la possibilità di riserva, per i soli appalti sottosoglia, attribuendo la facoltà di scelta alla stazione appaltante.
È bene ribadire che i due modelli non sono incompatibili e che pertanto potrebbero coesistere in un’ipotetica scelta del legislatore nazionale che volesse rafforzare la reale ed effettiva promozione delle piccole e medie imprese.
Peraltro, prima che la Corte costituzionale ne dichiarasse l’incostituzionalità con sentenza n. 98/2020 a seguito di ricorso in via principale proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri[21], una disciplina simile a quella portoghese era stata introdotta dalla Regione Toscana. Tuttavia, non si ritiene che tale precedente debba portare ad escludere l’introduzione di una riserva per le PMI, in entrambe le modalità sopra citate. Infatti, le imprese favorite dal meccanismo previsto dalla Regione Toscana erano esclusivamente quelle regionali: in altre parole, è stato giudicato incostituzionale il favor nei confronti delle sole PMI regionali, e non invece quello verso le PMI in generale.
In secondo luogo, il Codice dei contratti già ammette delle “riserve” a favore di particolari tipologie di operatori economici: si tratta della possibilità, accordata dall’art. 129 d.lgs. 36/2023, di riservare le procedure di affidamento dei servizi sociali sanitari e culturali ad enti senza scopo di lucro[22], per le quali si prevedono, per compensare gli effetti limitativi della concorrenza, due meccanismi compensativi. In particolare, si prevede una durata massima del contratto di tre anni, nonché l’esclusione dalla “riserva” di enti che siano già stati aggiudicatari di un appalto o di una concessione per i medesimi servizi nei tre anni precedenti.
Alla luce di quanto esposto, sia il modello francese sia quello portoghese appaiono praticabili, pur con le doverose accortezze.
Tali conclusioni sono suffragate dal fatto che nel nostro ordinamento, a livello teorico, non è vietato operare una differenziazione di trattamento tra categorie differenti, purché sorretta da adeguata e ragionevole motivazione e purché tale distinzione si traduca in una normativa proporzionata che non sacrifichi eccessivamente gli altri principi in gioco (la libera concorrenza). In questo caso, la presenza di effettive barriere all’ingresso del mercato dei contratti pubblici da parte delle PMI, comprovata dai dati menzionati in apertura, potrebbe costituire, dal punto di vista fattuale, la giustificazione degli interventi normativi sopra descritti: non si tratta cioè di favorire irragionevolmente le PMI, bensì di rimuovere gli ostacoli che impediscono loro di partecipare pienamente al settore del public procurement. Neppure si ritiene che eventuali ulteriori misure di favor contrasterebbero con la normativa comunitaria, dal momento che, quantomeno in Francia, è prevista una riserva a favore delle PMI per appalti al di sopra delle soglie comunitarie senza che siano – per ora – emersi profili di tensione con le istituzioni comunitarie e la normativa da esse introdotta.
[1] In Italia il 99,8% delle imprese è una mPMI, come emerge dai dati Istat e dallo studio europeo The social impact of public procurement – Can the EU do more?, European Parliament, 2023, disponibile su https://data.europa.eu/doi/10.2861/437576.
[2] Ai sensi della Raccomandazione n. 2003/361/Ce, trasposta in Italia dal d.m. 18 aprile 2005, per micro impresa s’intende un’impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di EUR; per piccola impresa s’intende un’impresa che occupa meno di 50 persone e realizza un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo non superiori a 10 milioni di EUR e per media impresa s’intende un’impresa che occupa meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di EUR.
[3] European Parliament: Directorate-General for Internal Policies of the Union, Caimi, V. and Sansonetti, S., The social impact of public procurement – Can the EU do more?, European Parliament, 2023.
[4] Occorre tuttavia tenere in considerazione che i dati si riferiscono alle procedure al di sopra delle soglie europee, a cui spesso le PMI non partecipano.
[5] Cfr. Commissione delle Comunità europee, Una corsia preferenziale per la piccola impresa, 2008, disponibile su https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2008:0394:FIN:IT:PDF.
[6] Pur non ritenendo appropriato imporre delle percentuali obbligatorie di coinvolgimento delle PMI. Cfr. Considerando 124 Direttiva n. 24/2014. Si ricorda tuttavia che i “considerando” non sono vincolanti.
[7] A ciò si aggiunga l’art 106, co.8, il quale prevede la riduzione del 50% della garanzia per la partecipazione alla procedura.
[8] Ex multis, Cons. Stato, Sez. III, 15 dicembre 2020, n. 8440.
[9] G. Cocco, Partecipazione agli appalti da parte delle PMI. Ci sono spiragli per superare le perduranti resistenze? in Il diritto dell’economia, 2023, 3.
[10] Cfr. Sba Fact Sheet, 2019. V. anche The social impact of public procurement – Can the EU do more?, European Parliament, 2023, disponibile su https://data.europa.eu/doi/10.2861/437576.
[11] L’articolo R. 2171-23 CCP ha previsto un’eccezione alla sopracitata quota minima ove non ci siano PMI sufficientemente qualificate o disponibili per raggiungere la percentuale del 10%. In tale ipotesi occorre informare immediatamente il committente e giustificare l’impossibilità di assegnare almeno il 10% del contratto a PMI o artigiani. Il committente dovrà poi esaminare, subordinatamente al controllo del giudice, se il motivo appare giustificato e coerente.
[12] Un apposito regolamento l’ha fissata al 10% del valore stimato di un contratto pubblico. Cfr. Art. R. 2171-23 Decreto n. 2021 – 357 del 30 marzo 2021.
[13] Esattamente come in Italia, il 99,8% delle imprese è una mPMI. Cfr. The social impact of public procurement – Can the EU do more?, European Parliament, 2023, disponibile su https://data.europa.eu/doi/10.2861/437576.
[14] «En toda contratación pública se incorporarán de manera transversal y preceptiva criterios sociales y medioambientales siempre que guarde relación con el objeto del contrato, en la convicción de que su inclusión proporciona una mejor relación calidad-precio en la prestación contractual, así como una mayor y mejor eficiencia en la utilización de los fondos públicos. Igualmente se facilitará el acceso a la contratación pública de las pequeñas y medianas empresas, así como de las empresas de economía social».
[15] «Las entidades del sector público velarán por la eficiencia y el mantenimiento de los términos acordados en la ejecución de los procesos de contratación pública, favorecerán la agilización de trámites, valorarán la incorporación de consideraciones sociales, medioambientales y de innovación como aspectos positivos en los procedimientos de contratación pública y promoverán la participación de la pequeña y mediana empresa y el acceso sin coste a la información, en los términos previstos en la presente Ley».
[16] Oltre che per le imprese costituite da non più di cinque anni.
[17] Segnatamente:
- indicazione del personale tecnico o dell’organismo tecnico di cui l’operatore economico intenda avvalersi nell’esecuzione del contratto;
- titoli accademici e professionali dell’imprenditore, dei dirigenti dell’impresa e degli addetti ai lavori;
- indicazione delle misure di tutela ambientale che l’operatore economico intenda impiegare nella fase esecutiva del contratto;
- dichiarazione relativa all’organico medio annuo dell’impresa e relativa al numero dei dirigenti degli ultimi tre anni;
- dichiarazione relativa ai macchinari, ai materiali e all’equipe tecnica impiegati per l’esecuzione.
[18] José Manuel Martínez Fernández, El ejemplo del Ayuntamiento de Valladolid premiado por la Unión Europea, su Observatorio de Contratacion Publica, disponibile su https://www.obcp.es/opiniones/el-ejemplo-del-ayuntamiento-de-valladolid-premiado-por-la-union-europea.
[19] Per SME’s s’ intendono imprese che hanno (a) meno di 250 dipendenti e (b) fatturato inferiore o uguale a 44 milioni di sterline o un “totale di bilancio” (stato patrimoniale) inferiore o uguale a 38 milioni di sterline.
[20] Il quale a sua volta prevede la rimozione delle barriere di accesso alle PMI nel mercato dei contratti pubblici.
[21] In particolare, il comma 4 affermava che «in considerazione dell’interesse meramente locale degli interventi, le stazioni appaltanti possono prevedere di riservare la partecipazione alle micro, piccole e medie imprese con sede legale e operativa nel territorio regionale per una quota non superiore al 50 per cento e in tal caso la procedura informatizzata assicura la presenza delle suddette imprese fra gli operatori economici da consultare». La suddetta sentenza censura la disposizione regionale sia per violazione del riparto di competenze di cui all’art. 117 Cost, dal momento che la disciplina degli appalti pubblici ricade nella materia statale della “tutela della concorrenza”, sia per violazione, in qualità di parametri interposti, degli artt. 30, comma 1, d.lgs. 50/2016, che sancisce i principi di libera concorrenza e non discriminazione e 36, comma 2, dello stesso codice, in quanto introduce una possibile riserva di partecipazione non consentita dalla legge statale (in realtà, più che non consentita non era prevista).
[22] La disposizione prevede che «1. Le stazioni appaltanti hanno facoltà, con bando predisposto a norma delle disposizioni che seguono, di riservare agli enti di cui al comma 2 il diritto di partecipare alle procedure per l’affidamento dei servizi sanitari, sociali e culturali individuati nell’allegato XIV alla direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014.
2. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 6, devono essere soddisfatte le seguenti condizioni:
a) gli enti riservatari devono avere come obiettivo statutario il perseguimento di una missione di servizio pubblico legata alla prestazione dei servizi di cui al comma 1;
b) deve essere previsto un vincolo di reinvestimento dei profitti, per il conseguimento degli obiettivi statutari o, comunque, una distribuzione o redistribuzione fondata su considerazioni partecipative;
c) le strutture di gestione o proprietà degli enti devono essere basate su principi partecipativi o di azionariato dei dipendenti, ovvero richiedere la partecipazione attiva di dipendenti, utenti o soggetti interessati.
3. È esclusa la riserva a favore di enti che nei tre anni precedenti all’affidamento siano stati già aggiudicatari di un appalto o di una concessione per i servizi di cui al comma 1, disposti a norma del presente articolo.
4.La durata massima del contratto non può superare i tre anni».